Monday 28 April 2008

Meme o non Meme?

Cos'è un "meme"? Il termine, coniato dal grande biologo Richard Dawkins, indica un frammento di informazione che, analogamente al gene per la genetica, è in grado di replicarsi in maniera autonoma, come un tormentone. Da un meme parte l'ultima tappa del nostro viaggio nel fenomeno del foreign branding: nasce infatti circa sei anni fa come “street meme” il marchio di abbigliamento giovanile A-Style. L’idea venne a Marco Bruns, che creò il famoso logo (una ‘A’ con due puntini e un doppio senso erotico) e lo diffuse attaccando adesivi ai semafori di Milano. Non c’era alcuna pretesa commerciale: è stata la notorietà del marchio e l’attenzione dei media a convincere Bruns a lanciare, nel 2001, una linea di felpe, jeans e magliette, oggi prodotte nel carpigiano. Un successo così cristallino che ha generato persino dei cloni: nelle strade delle nostre città si vedono infatti oggi adesivi simili ma basati sulle lettere ‘H’, ‘K’ e ‘Z’.

Altrettanto curiosa l’origine del controverso marchio De Puta Madre 69, linea d’abbigliamento prodotta dalla I.F.U. di Roma, il cui significato è in realtà diverso dallo scurrile senso letterale: in slang spagnolo significa infatti “bellissimo”, o “alla grande”. La storia della creazione del brand è ai limiti del surreale (e forse solo frutto di una trovata di marketing): il colombiano Ilan Fernandez, arrestato per traffico di droga a Barcellona, avrebbe cominciato a scrivere questa e altre frasi provocatorie con dei pennarelli su delle magliette. Queste, indossate all’esterno dai secondini, ebbero un certo successo e lo convinsero a iniziare un attività in Italia, per rifarsi una vita dopo aver scontato la sentenza. Nelle sue scritte c’è una volontà di redenzione: volutamente scioccanti e ricche di riferimenti alle droghe, mettendo al centro dell’attenzione chi le indossa dovrebbero funzionare da surrogato proprio per l’uso delle droghe, che secondo Fernandez sono ricercate dai giovani soprattutto per richiamare l’attenzione su di sé.

Anche nel campo del design alcuni marchi italiani potrebbero trarre in inganno, come è il caso della Poltrona Frau, nome che nulla a che vedere con la lingua tedesca (in cui “frau” significa “signora”), ma deriva dal cognome del fondatore, il cagliaritano Renzo Frau. Fondato nel 1912, il gruppo Frau è oggi quotato alla Borsa Italiana e comprende anche altri grandi marchi del design come Cappellini, Cassina e Alias.
Suono teutonico anche per Kartell, marchio storico del made in Italy che produce mobili, lampade e accessori, svariati dei quali sono esposti anche al MoMA di New York. Fondata nel 1949 da Giulio Castelli, la Kartell prende il nome dalla fusione dei cognomi dei soci.

Di simile origine è il marchio MOMO, abbreviazione di “Moretti – Monza”. Suo ideatore il pilota dilettante Giampiero Moretti, che negli anni sessanta decise di sostituire il volante della sua auto da corsa con uno più piccolo, ma dalla presa migliore grazie allo spessore maggiorato. Il curioso voltante attirò l’attenzione del pilota inglese della Ferrari John Surtees, che lo volle installare sulla sua monoposto. Era il 1964, e quell’anno Surtees vinse il campionato del mondo di Formula Uno. Le richieste cominciarono ad arrivare, e nel 1966 Moretti fondò la sua azienda a Tregnago, nei pressi di Verona: il primo ordine arrivò da Enzo Ferrari, che volle volanti MOMO per tutte le sue auto.

Sono molti altri i marchi italiani dal nome straniero: solo nel settore dell’abbigliamento ci sono Bastard, Blumarine, Colmar, Costume National, Energie, Gas, Genny, Guru, Killah, Kiton, Max Mara, Miss Sixty, Onyx, Original Marines, Phard, Replay, Rifle, Stone Island e Wampum, così come Sisley, Playlife e Killer Loop (tre marchi del gruppo Benetton). Italiani anche gli zaini Invicta e Seven, e i caschi AGV, Nolan e Suomi.
Nel settore automobilistico citiamo i produttori di cerchi in lega Fondmetal (che diede anche il nome a una scuderia di Formula Uno tra il '91 e il '92), Speedline e O.Z. Racing, in quello dell’elettronica di consumo Mivar, Magnex, Urmet, Seleco, Telit, Joycare, Philco e Brionvega. Italiani anche il costruttore di macchinari per il fitness Technogym e il produttore di accessori per ufficio Zenith.
Non ha sede in Giappone ma in provincia di Milano il produttore di articoli per la scrittura Osama.
Vera e propria esplosione della corrente anglofoba nel settore tecnologico: soltanto limitandoci al listino techSTAR della borsa di Milano troviamo, fra le altre, Acotel, BB Biotech, Datalogic, Digital Bros, Engineering, Esprinet, Eurotech, Fastweb, Fullsix, Gefran, I.Net, Saes Getters, Reply e TXT e-Solutions.
Italiana d’importazione la casa editrice Sperling & Kupfer, fondata in Germania ma che ha oggi sede a Milano. Curioso infine il caso dello stilista Pierre Cardin, nato in Veneto da genitori francesi con il nome di Pietro Cardìn.
Nel settore del trasporto aereo sono Italiane, a dispetto del nome, le linee aeree Eurojet, Eurofly, MyAir.com, AirOne, Air Freedom, ClubAir, Livingston, Neos, Windjet, AirEurope, Mistral Air, Blue Panorama e le defunte Gandalf, Air Columbia, Goldwing Airlines, Med Airlines, Aeral e Panair.

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